venerdì, novembre 21, 2008

La straordineria lettera di Arrigo Sacchi a Mourinho

Si parla poco di calcio da queste parti ultimamente, ma sabato c'è Inter-Juventus e gli animi si scaldano. Sfogliando velocemente la Gazzetta stamattina non ho potutto non notare la penosa lettera di Arrigo Sacchi a Mourinho: l'ex allenatore straordinerio al solito si riempie la bocca parlando di cultura della sconfitta, differenza tra sport e gioco, concetti come lealtà, onestà, ecc. ecc. Penoso. Tutte cose che Sacchi conosce molto bene, dato che ha dovuto smettere di allenare perché era talmente stressato prima di ogni partita da rischiare di rimetterci la salute. Probabilmente il suo enorme carico di stress era dovuto alla serenità con cui viveva la cultura della sconfitta. O forse, dato che dal '90 in poi non è più riuscito a vincere niente, ha pensato bene che fosse il momento di darci un taglio a questa cultura della sconfitta: meglio predicarla agli altri che viverla sulla propria pelle.
Ma in fondo è giusto così, non me la sento neanche di criticare uno come Sacchi che alla fine a tutte queste belle parole magari ci crede anche, è davvero convinto di vivere con grande humilté. Noi itlaliani siamo fatti così, per noi l'erba del vicino è sempre più verde e a noi piace tanto sottolinearlo (senza naturalmente fare mai nulla per cercare di migliorare un po' il nostro giardino, chiaro). E allora meglio non ricordare a Mourinho che viene dal terzo mondo calcistico (il Portogallo); che è riuscito a portarsi a casa una Champions League con il Porto grazie ad un clamoroso errore arbitrale nella semifinale con il Machester (altro che arbitro Moreno) e ad un perfetto catenaccio/contropiede in finale; che in Inghilterra è ricordato soltanto come un vincente, non certo come uno che fatto vedere del buon calcio; che le sue squadre non sono mai state granché dal punto di visto estetico; che, diciamoci la verità, da quando è in Italia sta parlando un po' troppo a vanvera; che lui si avrebbe bisogno di un bel bagno di humilté, dato che a ben guardare sarà anche un gran personaggio mediatico, ma poi sotto sotto resta davvero poco.
Insomma, il nostro calcio non è amato all'estero, è un dato di fatto incontrovertibile, ma il motivo è che siamo dei vincenti. Non siamo amati perché il nostro calcio dimostra che si, è bellissimo giocare all'attacco e avere una squadra di galacticos, però poi è molto più bello uscire dal campo vincitori; dimostra che tutto sommato con un po' di intelligenza, qualche sacrificio e buttando il cuore oltre l'ostacolo si riescono a portare a casa risultati eccezionli anche se siamo semplicemente normali. Un po' come nella vita, appunto.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

"dimostra che tutto sommato con un po' di intelligenza, qualche sacrificio e buttando il cuore oltre l'ostacolo si riescono a portare a casa risultati eccezionli anche se siamo semplicemente normali. Un po' come nella vita, appunto."
mi hai fatto ricordare un inghilterra-italia 0-1. a wembley. quello vecchio con la pista dei cani intorno... gol di gianfranco "magic box" zola! fantastico!

Giacomo Brunoro ha detto...

E come se non me lo ricordo, con un lancio al millimetro di Costacurta da 80 metri e con Dentierone in panchina che urlava come un ossesso "vai Paolino, vai"...

Scrittore Ambulante ha detto...

mitico!